Il tumore alla vescica è la quinta forma di cancro più diffusa in Italia con 25.500 nuove diagnosi ogni anno. Dopo 30 anni senza grandi progressi è stato sperimentato un nuovo farmaco da utilizzare dopo la chemioterapia che ne ritarda la progressione e aumenta la sopravvivenza garantendo una buona qualità di vita.
Questo tumore colpisce soprattutto dopo i 70 anni, nell'80% dei casi gli uomini e i più recenti progressi riguardano soprattutto i malati più difficili cioè quelli con un tumore giunto allo stadio localmente avanzato o metastatico, per i quali fino ad oggi mancava una terapia di mantenimento.
L'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha approvato la rimborsabilità di un nuovo farmaco immunoterapico che ha dimostrato un efficace controllo della malattia, aumentando in maniera significativa la sopravvivenza dei pazienti trattati. Da oltre trent’anni il carcinoma della vescica si cura più o meno allo stesso modo: intervento chirurgico se possibile, talvolta radioterapia e diversi tipi di chemioterapia in presenza di una neoplasia in fase avanzata. Negli ultimi anni, poi, sono arrivati nuovi medicinali immunoterapici e a bersaglio molecolare che riescono a fermare l'avanzata della neoplasia.
"Per i malati in stadio avanzato o metastatico, però, non c'era una terapia di mantenimento che ha l’intento di mantenere il risultato raggiunto dalla prima linea di chemioterapia, ritardare la progressione e rallentare l’evoluzione della neoplasia. Fino a ora, il trattamento standard di prima linea del carcinoma uroteliale in stadio avanzato era caratterizzato dalla sola chemioterapia a base di derivati del platino, generalmente per un massimo di sei cicli. Nei pazienti in cui si osservava almeno una stabilità della malattia al termine della chemioterapia, seguiva poi un periodo di osservazione (clinica e strumentale) per individuare precocemente la nuova progressione di malattia cui far seguire un nuovo trattamento, questa volta di seconda linea", ha spiegato Roberto Iacovelli, dirigente medico presso l’Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS di Roma.
L’Aifa ha approvato una nuova cura: il farmaco immunoterapico avelumab per il trattamento di mantenimento in prima linea di pazienti adulti affetti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico senza progressione dopo una chemioterapia a base di platino. In oltre il 90% dei casi il tumore della vescica origina nel rivestimento interno della vescica (urotelio), ma nel restante 10% dei pazienti interessa anche altri organi dell’apparato urinario (come la pelvi renale, l’uretere e l’uretra) e viene quindi definito, più genericamente, carcinoma uroteliale. In fase localmente avanzata o metastatica può poi diffondersi alla parete muscolare che circonda quest'area e raggiungere i linfonodi o altri organi come polmoni, fegato, ossa.
"Per questo motivo, la diagnosi tempestiva è fondamentale, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia", ha ribadito Iacovelli.
È quindi importante non trascurare alcune potenziali avvisaglie quali il sangue nelle urine (o ematuria) e altri sintomi (anche se vaghi e comuni ad altri disturbi) come la necessità di urinare più frequentemente, le infezioni ricorrenti, l’urgenza, il dolore o la difficoltà all’atto di urinare. All'approvazione della nuova cura si è arrivati dopo i risultati ottenuti con la sperimentazione (di fase tre) JAVELIN Bladder 100 e i dati più aggiornati dello studio, presentati al convegno americano dedicato alle neoplasie genitourinarie (Asco GU, tenutosi a San Francisco a febbraio 2022): avelumab ha dimostrato un beneficio significativo (8,8 mesi) nella sopravvivenza dei pazienti che lo ricevono come mantenimento dopo la prima linea di terapia rispetto alla sola osservazione. Con un'aggiunta rilevante: la condizione del paziente è mantenuta o migliorata, grazie alla limitata tossicità del farmaco.
"Avelumab non solo si è rivelato efficace nel controllo della malattia, e con risultati in sopravvivenza aumentati rispetto a quelli comunicati in precedenza, ma è anche ben tollerato. Elemento, quest’ultimo, di estrema importanza, alla luce della tipologia dei pazienti trattati, spesso anziani e affetti da diverse altre patologie. Avelumab è un anticorpo monoclonale che si lega alla cosiddetta proteina checkpoint PD-L1, un target specifico che permette ad alcune cellule tumorali di eludere l’attività del sistema immunitario. Il farmaco inattiva il PD-L1, presente sulla superficie delle cellule tumorali, bloccando questo effetto protettivo e consentendo al nostro sistema immunitario di combattere il tumore", ha confermato Sergio Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia e dell'Oncologia Medica e Traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni e presidente incoming della SIUrO (Società Italiana di Uro-Oncologia).